È stata aperta al pubblico, da martedì 22 febbraio a domenica 10 aprile 2011, nella Sala delle Bandiere del Palazzo del Quirinale, la mostra "Viaggio tra i capolavori della letteratura italiana. Francesco De Sanctis e l'Unità d'Italia".
L’armonia della lingua italiana e l’unità del Paese
testo del Prof. Louis Godart
L’italiano è la lingua dell’armonia e come tale viene recepito in tutto il mondo. Analizzarne il perché mentre il Paese festeggia i 150 anni della sua Unità è doveroso. Lo ha fatto Ignazio Baldelli in una memorabile prolusione presso l’Accademia Nazionale dei Lincei.
Nel XIII secolo tre delle cinque città che in Europa avevano raggiunto centomila abitanti erano italiane: Milano, Venezia e Firenze. Fra il Duecento e il Trecento i letterati più eminenti di Milano, come Bonvesin da la Riva, scrivevano in milanese; a Venezia si scrivevano atti giuridici e notarili in veneziano; in altre città particolarmente vivaci economicamente e culturalmente come Padova, Bologna, L’Aquila, Perugia, tutti scrivevano nel proprio dialetto. Fu allora che un libro di poesia, la Commedia di Dante, affascinò l’intera cultura italiana.
Le conseguenze furono immediate: verso la metà del Trecento furono abbandonate le lingue letterarie locali e tutti si rivolsero alla Commedia. Così, dalla metà del Trecento, tutti si riconobbero italiani in Dante, nella sua opera, nella sua lingua; in altri termini, nel fiorentino usato dall’Alighieri.
È interessante notare che la lingua italiana deve la sua unità e la sua diffusione a un libro di poesia. Invece, in Europa, molte delle lingue del Vecchio Continente si sono costituite come lingue della capitale di uno Stato, essendo la capitale il centro politico e il simbolo dello Stato stesso. Si pensi al francese, la lingua di Parigi, che ha prima conquistato il Nord e che si è poi estesa al Sud attraverso la distruzione della lingua della Provenza. Si pensi all’inglese, che si è costantemente confrontato con la lingua di corte, il londinese del King’s English.
Accanto alle lingue che sono emanazioni di un centro politico forte, vi sono poi quelle incentrate su un libro, di solito di grande prestigio religioso. L’arabo è la lingua del Corano; l’ebraico è la lingua della Bibbia; il tedesco è la lingua della traduzione della Bibbia fatta da Lutero.
L’italiano a sua volta appare, insieme all’arabo, all’ebraico e al tedesco, una lingua incentrata su un libro. Tuttavia si tratta di un libro di poesia, la Commedia, a cui si sono rivolti i letterati di tutta Italia, dal Nord al Sud, alle grandi isole.
Come sottolinea Baldelli, un Paese che era senza centro politico, senza capitale, senza reggia e senza re, le cui città preferivano combattersi fra di loro e chiamare a sostegno della propria politica eserciti stranieri, pur di non riconoscere il prestigio superiore e l’autorità maggiore di una di loro, poteva unificarsi soltanto riferendosi a un libro che parlasse il linguaggio universale della poesia e non offendesse il geloso sentimento della propria indipendenza.
Nel primo Ottocento, con la Commedia, Dante diviene, ad opera soprattutto di Foscolo e di Mazzini, il profeta dell’unità e della libertà d’Italia e molti Paesi tra i più diversi e lontani si sono rivolti alla Commedia e all’italiano per trarne esempio e incitamento. Basti ricordare il sentimento polacco per Dante dopo le sfortunate rivolte dell’Ottocento. La stessa civiltà cinese, in cerca di una nuova identità, attraverso il politico e giornalista Liang Qichao additava alla Cina l’esempio del Risorgimento italiano: l’esempio di un’antica nazione decaduta (per i cinesi nella storia del mondo vi sono solo due imperi che meritano di essere ricordati, quello romano e il loro, il Celeste Impero) che si era risollevata con la sua forza. Nel prologo del suo dramma musicale del 1902, dal titolo Xin Luoma (La nuova Roma), Liang Qichao descrive Dante che, come se fosse un immortale sapiente taoista, si reca in Cina a cavallo di una gru per portarvi il suo messaggio di rinnovamento. Dopo il 1880, negli Stati Uniti d’America assistiamo alla massima diffusione della Commedia. In un secolo il libro viene tradotto in venticinque modi differenti: in versi, in versi liberi, in terzine, in prosa, in prosa classica, in prosa popolare. Non senza ironia il presidente Theodore Roosevelt, nei primi anni del Novecento, prende spunto dalla Commedia per dire quanto sarebbe necessario agli Stati Uniti un poeta capace di amalgamare il presidente della Repubblica, i senatori, i delinquenti dei bassifondi di New York e i predoni dell’Ovest e dell’Est.
La Commedia non è soltanto lo strumento fondamentale che ha promosso l’Unità d’Italia, ma anche una straordinaria ambasciatrice della nostra cultura che ha contribuito a far amare l’Italia. Tradotta in oltre settanta lingue e dialetti, la Commedia, insieme all’italiano, ha conquistato le menti e i cuori di tutto il mondo.
La forza consolatrice dell’armonia data dalla lettura dell’italiano e di Dante è mirabilmente illustrata nel capitolo intitolato “Il canto di Ulisse” del volume di Primo Levi Se questo è un uomo. Levi racconta il suo incontro ad Auschwitz con Jean, uno studente alsaziano di 2 3 ventiquattro anni, deportato come lui nel lager nazista. A Jean, che parlava francese e tedesco, era toccata la carica di pikolo, vale a dire di addetto alla pulizia della baracca, alla consegna degli attrezzi, al lavaggio delle gamelle, alla contabilità delle ore di lavoro del Kommando. Jean era stato in Liguria un mese; gli piaceva l’Italia e voleva imparare l’italiano. Approfittando di un momento di pausa, mentre insieme a Jean portava la zuppa agli altri detenuti, Levi spiega chi è Dante, che cosa è la Commedia, come è distribuito l’Inferno, cos’è il contrappasso; Virgilio è la Ragione, Beatrice la Teologia. Jean è attentissimo; Levi recita al pikolo le parole magiche:
Considerate la vostra semenza: Fatti non foste a viver come bruti, Ma per seguir virtute e conoscenza.
E Levi si accorge di sentire lui stesso queste parole per la prima volta, “come uno squillo di tromba, come la voce di Dio”. Per un momento dice di dimenticare chi è e dove si trova. Jean lo prega di ripetere. La magia della poesia fa il suo effetto. Jean, malgrado le difficoltà della lingua, ha recepito il messaggio; sente che lo riguarda, che riguarda tutti gli uomini in travaglio e i detenuti in particolare… E Levi prosegue: “Trattengo Pikolo, è assolutamente necessario e urgente che ascolti, che comprenda prima che sia troppo tardi, domani lui o io possiamo essere morti, o non vederci mai più, devo dirgli del Medioevo, del così umano e necessario e pure inaspettato anacronismo, e altro ancora, qualcosa di gigantesco che io stesso ho visto ora soltanto, nell’intuizione di un attimo, forse il perché del nostro destino, del nostro essere oggi qui…”.
L’Italia, conscia della sua cultura millenaria fortemente ancorata alle radici della classicità, ammirata in tutto il mondo per la bellezza del suo paesaggio e la dolcezza della sua lingua, festeggia i suoi 150 anni di Unità in un momento in cui da alcune parti varie forze sembrerebbero mettere in dubbio i valori fondanti che ne hanno fatto una nazione.