Nel Quirinale dei papi ognuna delle sale di rappresentanza era arredata da quadri, quasi tutti naturalmente di soggetto sacro.
La presenza di quadri sacri nel Palazzo era talmente generalizzata da non essere sempre in totale sintonia con il carattere dei luoghi: nella sala del biliardo, ad esempio, nel 1843 figurava la devotissima Madonna col Bambino e i santi Caterina, Girolamo e Lucia (1779) di Pompeo Batoni.
Particolare per importanza e dimensione delle opere era la raccolta dei dipinti provenienti dalla Basilica di San Pietro, che riuniva nei saloni maggiori i cartoni preparatori utilizzati per le decorazioni delle cappelle della Basilica e alcune delle mastodontiche pale d'altare che in San Pietro erano state progressivamente sostituite da copie a mosaico.
La collezione pontificia in Quirinale fu prima notevolmente depauperata dalle requisizioni napoleoniche, per poi essere ridotta a pochissimi pezzi dopo il forzato abbandono del palazzo da parte dei papi nel settembre 1870.
Forse per un rispetto estremo dei luoghi consacrati e del loro apparato decorativo, furono lasciati in Quirinale quasi solo i quadri che costituivano l'arredo d'altare di alcune delle cappelle del palazzo, tra i quali l'Annunciazione di Guido Reni (1610) nella cappellina dell'Annunziata.
Fra gli altri dipinti di proprietà della Santa Sede rimasti in Quirinale, sono da menzionare la tavola col San Giovannino, acquistata da Clemente XII come opera di Raffaello, poi a lungo creduta di Giulio Romano e ora ritenuta opera di un anonimo pittore romano del Cinquecento, due straordinarie sante del francese Simon Vouet (1590-1649), lo spettacolare Martirio dei Gesuiti di Jacques Courtois (1621-1676), che oggi figura nello studio di rappresentanza del Presidente della Repubblica, due pale d'altare di Giovanni Lanfranco e Carlo Maratta.
Nei primi anni del Regno d'Italia la corte sabauda si trovò nella necessità di coprire molti spazi rimasti vuoti sulle pareti e di bilanciare l'iconografia sacra dei dipinti dei papi con quadri che proponessero temi storici, dinastici o comunque profani.
Il Quirinale si riempì allora di solenni ritratti, spesso di modesta qualità, di antichi personaggi sabaudi, o di dipinti dedicati ad episodi storici che davano lustro alla casata - tra i quali quattro che re Carlo Alberto aveva commissionato a Massimo d'Azeglio nel 1838 per il Palazzo Reale di Torino - o ancora di disimpegnati quadri con scene di vita quotidiana, nature morte, fiori, animali.
Elevano la qualità delle opere che i Savoia trasferirono a Roma dalle loro residenze piemontesi una coppia di tele di Sebastiano Ricci (Ester davanti ad Assuero e Il Convito di Baldassarre, del 1733), e le sei Storie di Enea (1735 circa) di Corrado Giaquinto, portate in Quirinale per decorare un soffitto, sempre nell'intento, costantemente perseguito dai reali d'Italia, di trasformare l'austero palazzo seicentesco in una aggraziata reggia in stile fine Settecento.
Il Quirinale repubblicano - ed in generale la nostra epoca - ha allentato l'attenzione rispetto al valore "ideologico" dei soggetti dei dipinti antichi, perseguendo invece l'obiettivo di una esposizione nelle sale di rappresentanza dei pezzi più significativi della collezione.